Un’altra ossessione cinese:
la toponomastica

4 aprile 2024.

La notizia è una di quelle che se non avessero come antefatto un evento tragico (la brutale invasione e occupazione del Tibet avvenuta nell’ottobre 1950), farebbero ridere. Infatti il 30 marzo 2024 il governo cinese ha annunciato di avere rinominato una trentina di località situate all’interno dello stato indiano di Arunachal Pradesh

Toponomastica cinese e realtà storica

La notizia è una di quelle che se non avessero come antefatto un evento tragico (la brutale invasione e occupazione del Tibet avvenuta nell’ottobre 1950), farebbero ridere. Infatti il 30 marzo 2024 il governo cinese ha annunciato di avere rinominato una trentina di località situate all’interno dello stato indiano di Arunachal Pradesh. Località sulle quali Pechino non esercita alcun tipo di controllo ma che fanno parte di un’area (il Mön Yul) che la Cina contesta all’India in quanto propaggine meridionale del Tibet e, dal momento che l’India riconosce la sovranità cinese sul Paese delle Nevi, quei territori dovrebbero essere consegnati alla Repubblica Popolare. In realtà le cose non stanno affatto così. Infatti il governo di Lhasa cedette nel 1914 questa porzione di Tibet al Governo britannico dell’India (British Raj) e quando nacque la Repubblica Indiana (15 agosto 1947), questa ereditò tutti i territori occupati dagli inglesi tra cui, appunto, il Mön Yul e la regione di Tawang oggi compresi nell’Arunachal Pradesh (stato ufficialmente costituito il 20 febbraio 1987). Vediamo un po’ da vicino come sono andate effettivamente le cose in modo da poter distinguere tra surreali pretese e realtà storica.

Tra la fine del 1913 e la prima metà del 1914, si tenne a Shimla, cittadina dell’India settentrionale, una conferenza convocata dal governo inglese per definire i confini del Raj britannico lungo tutto l’arco himalayano. Londra invitò a discuterne sia la Cina sia il Tibet. La delegazione inglese era guidata da Sir Henry McMahon, quella tibetana da Lonchen Shatra e quella cinese da Ivan Chen. Fin dall’inizio però, i rappresentanti della Repubblica di Cina (nata nel 1912 dopo la caduta dell’Impero mancese) protestarono perché ritenevano che la posizione dei diplomatici tibetani fosse di rango pari alla loro mentre invece consideravano quello di Lhasa solo un governo locale che potesse partecipare solo in quanto espressione di una potenza regionale e non di uno stato nazionale. Posizione assurda poiché all’epoca tutti i cinesi erano stati espulsi dal Tibet e il governo di Lhasa amministrava il proprio territorio direttamente senza dover rendere conto a chicchessia. Questo era molto chiaro sia a Londra sia a Nuova Delhi. Visto che le loro proteste non avevano sortito alcun effetto, i delegati cinesi in pratica rimasero in qualità di osservatori mentre i negoziati continuarono tra tibetani e inglesi. Il 3 luglio 1914 venne firmato un trattato tra il governo britannico dell’India e Lhasa (Ivan Chen si rifiutò di firmare per esteso limitandosi solo ad apporre la sua sigla) in cui il confine tra le due nazioni venne fissato lungo una “linea” che attraversava in pratica l’intero Himalaya da allora in poi chiamata “linea McMahon” dal nome del plenipotenziario britannico. Più o meno la Convenzione di Shimla ratificava quelli che erano in pratica già i confini riconosciuti con l’eccezione delle aree del Mön Yul (abitate principalmente da una popolazione di origine tibeto-bhutanese, i Mon-pa) fino ad allora governate da Lhasa e che, in virtù di questo accordo, passarono sotto l’amministrazione britannica. Una serie di mappe molto dettagliate (disponibili ancora oggi) vennero incluse per dare massima precisione a quanto convenuto tra le parti. L’accordo di Shimla non venne però reso pubblico e la regione continuò nei fatti a rimanere sotto il controllo Lhasa. Solo nel 1935, il trattato venne ripreso in mano e il Governo dell’India iniziò a fare i passi necessari per governare l’area (dove tra l’altro nel 1683 era nato il VI Dalai Lama e in cui sorgeva il grande monastero buddhista di Tawang) e dare corso a quanto era stato legalmente stabilito nel 1914. Lhasa però, aveva sperato che il documento firmato a Shimla potesse rimanere lettera morta ed era alquanto recalcitrante all’idea che Nuova Delhi potesse prendersi quello che per legge le aspettava. Iniziò quindi una sorta di balletto diplomatico che alternò momenti di notevole distanza tra le parti a d altri in cui sembrava essere vicini al raggiungimento di una intesa. Alla fine (1945), le due parti erano sul punto di trovare un compromesso accettabile per entrambe. I tibetani avrebbero riconosciuto che l’area, fin dal 1914, era legalmente parte dell’India britannica anche se questa non ne aveva ancora preso pieno possesso, mentre gli inglesi avrebbero consentito che la zona in cui sorgeva il monastero di Tawang potesse tornare sotto la giurisdizione di Lhasa. Certo, osservata con gli occhi di oggi, tutta la vicenda sembra alquanto incredibile considerando che si era a pochi anni (pochi giorni, potremmo dire) dall’intero rovesciamento di quel mondo. Con l’Inghilterra in procinto di lasciare l’India e il Tibet a un passo dall’essere invaso da un potere cinese ben più feroce di quello nazionalista. Infatti questo nuovo accordo non venne mai ratificato ufficialmente avendo l’Inghilterra concesso (1947) l’indipendenza alla sua colonia indiana.

In conclusione: la nuova India indipendente ereditò un territorio che legalmente apparteneva al Raj Britannico in virtù di un formale accordo stipulato nel 1914 secondo il quale la porzione di Tibet chiamato Mön Yul terminava di essere parte del Tibet ed era acquisito per sempre dall’India britannica. Quindi non si può non concludere che le odierne rivendicazioni cinesi non hanno alcuna base legale. L’interezza dei territori dell’Arunachal Pradesh appartengono all’India e solo ad essa. Senza se e senza ma.

Piero Verni