La tortura in Tibet

Il 4 ottobre 1988 la Repubblica Popolare Cinese ha ratificato la Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite Contro Tortura e Altri Trattamenti o Punizioni Crudeli e Degradanti, e ha rassicurato con queste parole la comunità internazionale: “la Cina renderà effettivi, in buona fede, gli impegni presi nella Convenzione”.
Da allora, è stato accertato che oltre 70 prigionieri politici tibetani sono stati torturati a morte e più di cento massacrati per aver partecipato a dimostrazioni a favore dell’ indipendenza. Un giornalista cinese, esponente dell’Associazione dei Giornalisti Cinesi, ha dichiarato che, soltanto nel marzo 1989, più di 450 tibetani, inclusi monaci, monache e civili, furono uccisi per aver preso parte alle dimostrazioni.

Il Comitato Internazionale delle Nazioni Unite contro la Tortura ha ripetutamente chiesto alla Cina di varare nuove leggi e bandire ogni forma di tortura. Nel rapporto stilato nel maggio 1996, il Comitato ha così dichiarato: “E’ stato un errore inserire la definizione di tortura all’interno del sistema legale cinese nei termini previsti dai provvedimenti della Convenzione”.
Da quando la Cina occupò il Tibet nel 1959, la tortura è stata usata come principale metodo di repressione contro il popolo tibetano. I prigionieri che maggiormente rischiano la tortura sono i prigionieri politici, molti dei quali sono monaci e monache che sono spesso imprigionati solo per aver esercitato la loro libertà di espressione a sostegno del Dalai Lama.

La Cina dichiara di aderire alla legge internazionale che bandisce completamente il ricorso alla tortura. Nel 1992, Pechino riferì al Comitato ONU contro la Tortura di aver adottato leggi efficaci e altre misure atte a “proibire rigorosamente tutti gli atti di tortura e garantire che i diritti dei cittadini non fossero violati”. Tuttavia, le dichiarazioni rilasciate dai prigionieri testimoniano che in Tibet la tortura è molto diffusa. Nel rapporto pubblicato nel dicembre del 1997, anche la Commissione Internazionale dei Giuristi dichiara che la tortura è stata, e continua ad essere, normalmente applicata su larga scala in tutta la Cina.



LA TORTURA NEI CENTRI DI DETENZIONE

Ex prigionieri politici hanno descritto innumerevoli metodi di tortura degradanti e crudeli. Eccone alcuni: essere appesi al soffitto con le mani legate dietro la schiena; essere percossi con bastoni elettrici; subire scosse elettriche su tutto il corpo; essere colpiti con tavole di legno e bastoni; essere assaliti dai cani; essere costretti a rimanere nudi davanti agli altri detenuti, talvolta durante i pestaggi; essere appesi e lambiti da fuochi accesi sotto i piedi che vengono spenti quando ormai gli occhi sono bruciati dal fumo; essere forzati a stare in piedi sul pavimento ghiacciato fin quando la pelle dei piedi si stacca dagli arti; sottostare a lunghi periodi di isolamento e privazione di cibo, acqua e riposo.

Col passare del tempo i funzionari carcerari cambiano le loro tecniche e adottano nuovi metodi di tortura che non lasciano tracce visibili. Molti ex-prigionieri hanno sentito pronunciare dai secondini frasi di questo tipo: “ Non colpirlo all’esterno del corpo, sfiniscilo con ferite interne”.
Oltre alle torture fisiche, i prigionieri sono a volte costretti a subire traumi psicologici. Gli addetti carcerari spesso minacciano di colpire le famiglie dei prigionieri, li costringono a disconoscere il Dalai Lama e li obbligano a denunciare altri tibetani di partecipazione ad attività politiche.

Nel 1989, Lhundrup Ganden, un monaco di trent’anni anni del monastero di Ganden, fu condannato a sei anni di carcere. Nel 1992, temporaneamente paralizzato per le terribili torture subite, fu rilasciato. Il suo racconto fornisce l’idea della brutalità che sperimentò in prigione: “la tortura peggiore consisteva nel farmi spogliare e percuotermi con bastoni elettrici su tutto il corpo. Alla fine non ero più in grado di dormire supino. La pelle si gonfiava, diventava verde e blu, e c’erano anche dei tagli. Venivano sempre usati bastoni elettrici e filo metallico. Legavano il filo intorno ai miei polsi e la scossa era estremamente dolorosa.”

Uno dei metodi di tortura più diffusamente descritti da ex detenuti consiste nell’essere legati al soffitto col un fuoco acceso sotto. Spesso nel fuoco viene gettato del pepe che produce un fumo denso e aumenta le bruciature. Jampel Tsering, un monaco del monastero di Ganden, detenuto cinque anni nella prigione di Drapchi per aver guidato una dimostrazione a Lhasa nel 1989, così ricorda: “Quando gettavano la polvere di pepe nel fuoco, la sensazione di bruciore su tutto il corpo era terribile e, ogni volta, non potevo aprire gli occhi per diverse ore”.



CURE MEDICHE NEGATE ALLE VITTIME DI TORTURE

Il governo cinese dichiara che ai prigionieri sono concessi i trattamenti medici necessari. Al contrario, molte delle morti avvenute per torture e maltrattamenti si sono verificate per mancanza di assistenza medica durante la prigionia. Oltretutto, dopo il rilascio, i detenuti devono accollarsi il costo delle spese mediche. In molti casi, ai detenuti è stato chiesto di risarcire le autorità delle spese sostenute per loro salute durante la prigione e delle spese mediche affrontate in conseguenza dei maltrattamenti subiti.

Phuntsok, un monaco di ventidue anni del monastero di Nalanda, fu arrestato nel febbraio 1995, dopo i duri interventi dei funzionari cinesi a causa della resistenza alla campagna di ri-educazione. Nel centro di detenzione di Gutsa, durante l’interrogatorio, gli ufficiali del PSB lo accusarono di nascondere alcuni documenti e per questo fu torturato. Nel febbraio 1996 fu rilasciato per motivi di salute ma durante la detenzione gli furono sempre negate le cure mediche. Per un certo periodo fu ammesso all’ospedale della Regione Autonoma Tibetana. Le spese per le cure incisero fortemente sulle magre risorse economiche della sua famiglia, anche perché la salute non migliorava. Morì nel marzo del 1999, quasi tre anni dopo il suo rilascio.



DONNE TORTURATE
Oltre ai trattamenti brutali, le donne in prigione devono sottostare ad abusi sessuali. Pestaggi crudeli, digiuni, violenza sessuale, aggressioni da parte di cani feroci e atti sessuali violenti sono tra le più crudeli atrocità di cui è data testimonianza. Tra le violenze di carattere sessuale vanno annoverate le lacerazione dei capezzoli, i bastoni elettrici forzati nella vagina fino a provocare la perdita della conoscenza e il filo metallico avvolto attorno al petto e al resto del corpo accompagnato da scariche elettriche.

Durante la prigionia, la monaca Tenzin Choeden, di diciotto anni, fu violentata sessualmente con un bastone elettrico. Fu arrestata insieme ad altre 12 monache per aver preso parte a una dimostrazione a Lhasa il 14 febbraio 1988. Mentre era detenuta nel centro di Gutsa, quattro carceriere le ordinarono di alzarsi e di mettersi contro il muro. Tenzin ha riferito di aver discusso con le donne e di averne pagato le conseguenze: “Hanno inserito un bastone nella mia vagina per quattro volte con estrema violenza. Poi mi hanno messo il bastone in bocca. Ho provato a tenere la bocca chiusa ma spingevano forte. Ho perso due denti e le mie labbra sanguinavano.” Dopo essere stata rilasciata, nel 1991, Tenzin scappò in India. A causa dei pestaggi continui e delle torture subite, ha perso un terzo della sua capacità fisica e ha grossi handicap su tutta la parte destra del corpo. Durante la detenzione, alle donne gravide è riservato lo stesso trattamento.



LA MORTE A CAUSA DELLA TORTURA
In seguito al duro trattamento subito, alcuni prigionieri sono morti.
Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia (TCHRD) ha accertato che, dal 1987 ad oggi, settanta prigionieri sono morti a causa delle torture subite. Solitamente, se a causa delle torture un prigioniero è prossimo a morire, è mandato in ospedale o comunque rilasciato. Una volta in ospedale, si chiede alla famiglia di firmare una “accordo di responsabilità” che impegna i parenti al pagamento delle sue spese mediche. Spesso i detenuti muoiono al di fuori delle mura della prigione rendendo così il governo cinese apparentemente meno responsabile dei loro decessi.

Sonam Wangdu, morì nel marzo 1999 nella sua residenza a Lhasa. Wangdu fu arrestato nell’aprile 1988 perché ritenuto coinvolto nell’uccisione di un poliziotto cinese durante la repressione di una dimostrazione, il cinque marzo di quell’anno. Durante la sua detenzione a Gutsa, fu duramente torturato e riportò danni permanenti a un rene e la rottura della colonna vertebrale. Soffrì di problemi urinari e divenne paraplegico. Secondo Bhangro, un ex prigioniero politico, Wangdu fu picchiato con bastoni elettrici e tenuto ammanettato, gambe e piedi, per un periodo di sei mesi. Fu tenuto appeso dai tre ai cinque giorni e messo in isolamento per una settimana. La sua testa venne tenuta immersa con la forza in un secchio d’acqua e gli fu tolto il sangue senza consenso.

Gli ultimi casi di morte a causa delle torture si sono verificati nella stessa prigione di Drapchi, nel maggio del 1998. In seguito a due dimostrazioni, furono uccisi 11 prigionieri. Tre furono fucilati, tre morirono a causa di crudeli pestaggi, tre morirono per soffocamento, uno fu impiccato e la causa della morte degli altri due rimane sconosciuta.



DONAZIONI DI SANGUE E DI SIERO FORZATE
Il prelievo forzato di sangue è un’altra delle forme di tortura fisica e psicologica utilizzate dai funzionari cinesi. Questo metodo è utilizzato per indebolire fisicamente i prigionieri. Ad altitudini così elevate, una consistente perdita di sangue indebolirebbe anche una persona in ottima salute. Uniti a diete povere e alle torture fisiche, i prelievi di sangue provocano spesso la morte dei detenuti. Poiché i prigionieri non hanno mai saputo il motivo di queste donazioni e non hanno mai ricevuto i risultati di alcun test, è possibile che siano fatte non solo come punizione ma anche per effettuare degli esperimenti.

 



TORTURE SUI MINORENNI
Malgrado la Cina, nell’aprile 1992, abbia firmato la Convenzione per i Diritti dei Bambini, detenzioni, arresti e torture di giovani al di sotto dei diciotto anni continuano ad essere pratiche usuali in Tibet.
I giovani vengono detenuti nelle stesse carceri degli adulti, viene loro negato un avvocato, non possono avere contatti con le famiglie e sono soggetti alle stesse forme di lavoro forzato e di torture degli altri detenuti.
Sherab Ngawang, che morì all’età di 15 anni, è considerata la più giovane prigioniera politica morta a causa delle torture subite. Per aver cantato con altre monache in prigione, sembra sia stata picchiata con bastoni elettrici e tubi di plastica riempiti di sabbia. Un testimone ha dichiarato: “La colpirono fino a quando fu completamente coperta di contusioni tanto che anche noi stentavamo a riconoscerla”. Altre persone hanno riferito che fu confinata in isolamento per tre giorni e, quando uscì, aveva gravi problemi alla schiena e ai reni. Perse anche la memoria e aveva difficoltà a mangiare. Morì due mesi dopo essere stata rilasciata.



LAVORI FORZATI ED ESERCIZIO FISICO
In tutte le prigioni cinesi in Tibet i detenuti sono costretti a un duro lavoro. Durante il giorno i lavori forzati spesso si accompagnano a esercizi fisici che, uniti a una dieta povera, indeboliscono notevolmente i prigionieri. Spesso in Tibet i detenuti vengono utilizzati nell’agricoltura e nel taglio del legname, settori in cui il lavoro è molto richiesto e gli incidenti più frequenti.
Ai detenuti è in molti casi chiesto di raggiungere determinati “target” di produzione per consentire alle autorità carcerarie di trarre un guadagno dal lavoro dei forzati. Queste quote sono obbligatorie, anche se i detenuti sono malati.

Ngawang Lhundrup, di circa 23 anni, dopo estenuanti interrogatori e torture durante la sua detenzione nella prigione di Gutsa, fu mandato ai lavori forzati. “Quando ci permettevano di fermarci, la sera, le nostre mani erano piene di vesciche ed eravamo letteralmente esausti.”

Ngawang Jinpa, anche conosciuto come Lobsang Dawa, morì a Phenpo, suo villaggio natale, il 20 maggio 1999. Dopo il suo arresto, il 6 maggio 1996, Ngawang Jinpa fu detenuto nella prigione di Gutsa per otto mesi dove fu crudelmente picchiato. Secondo le parole di Legshe Drugdrak, un monaco di Nalanda della Contea di Phenpo che divise la cella con Jinpa, “quando Jinpa arrivò era molto debole. Gli ufficiali continuarono a torturarlo e lo forzarono a lavorare”. Nel marzo del 1999, la salute di Jinpa peggiorò a tal punto che gli ufficiali lo mandarono all’ospedale militare della Regione Autonoma Tibetana, vicino al monastero di Sera, dove gli furono diagnosticati danni al cervello. Le sue condizioni erano così critiche che le autorità cinesi lo rilasciarono per motivi di salute il 14 marzo 1999. Quando morì aveva 31anni.

L’incapacità di fare un qualsiasi esercizio nel modo richiesto è immediatamente punito, di solito con pestaggi. I detenuti risentono molto di queste esercitazioni, non solo per lo sforzo fisico, ma anche per il controllo mentale loro richiesto.

A cura del Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia – Novembre 2000