Il Dalai Lama e il suo lignaggio

Il Dalai Lama (letteralmente “Oceano di Saggezza”) è il simbolo vivente del Tibet, della sua cultura e della sua religione. È la principale autorità spirituale del popolo tibetano e, fino all’invasione cinese, deteneva anche il potere temporale guidando il governo centrale di Lhasa. Il Dalai Lama è considerato un’emanazione terrena di Cenrezig, la divinità che nel pantheon tibetano rappresenta il principio della compassione e dell’amore universale.

Quando, nel decimo secolo una serie di intrighi di palazzo portarono alla caduta della dinastia di Yarlung, il Tibet cessò di esistere come stato unitario e si divise in una serie di principati, più o meno estesi, e sovente in lotta fra loro. Nonostante che nel corso dei secoli diverse dinastie locali avessero cercato, senza mai riuscirvi completamente, di riunificare il Paese sotto un unico potere, il Tibet arrivò ai primi decenni del 1600 ancora profondamente diviso. Fu solo nel 1642 che, grazie all’opera di una delle menti più acute dell’intera storia tibetana, il Tetto del Mondo poté di nuovo tornare ad essere uno stato unitario retto da un unico governo centrale con sede a Lhasa, già capitale degli ultimi sovrani di Yarlung.

Artefice di questa opera unificatrice fu Ngawang Lozang Gyatso, il V Dalai Lama, detentore di un lignaggio spirituale, quello dei Dalai Lama appunto, che aveva avuto origine con Gedun Tupa (1391 – 1472) ed era poi continuato per più di tre secoli. Ngawang Lozang Gyatso, il Grande Quinto come ancora oggi i tibetani lo ricordano, non solo riunificò il Tibet ma gli diede anche quella particolare forma di governo che ha guidato il Paese delle Nevi fino a pochi decenni or sono. Il Dalai Lama era la massima autorità politica e spirituale del Tibet e dirigeva da Lhasa una amministrazione, composta sia da funzionari laici sia religiosi, che estendeva la sua autorità su tutte le tre regioni tibetane: U-Tsang (il Tibet centrale), Amdo (Tibet settentrionale) e Kham (Tibet nord-orientale).

Come si è detto, questa forma di governo si basava fondamentalmente sulla figura del Dalai Lama e varrà dunque la pena raccontare brevemente come queste grandi personalità, politiche e spirituali al medesimo tempo, venivano scelte. Poco prima di morire il Dalai Lama lasciava delle indicazioni, a volte anche piuttosto precise, del luogo e/o della famiglia in cui sarebbe rinato. I tibetani credono che ai Dalai Lama (e più in generale a tutti i Rimpoché) questo potere provenga dall’eccezionale controllo dei ritmi mentali che questi esseri hanno raggiunto grazie alla meditazione e alle pratiche spirituali. Una volta che il Dalai Lama era morto, o meglio “aveva lasciato il corpo”, le autorità di Lhasa inviavano delle delegazioni monastiche nei luoghi o nelle famiglie che maggiormente sembravano assomigliare alle visioni avute dal Dalai Lama morente. Nei casi più dubbi si consultava un importantissimo oracolo, quello di Nechung, le cui facoltà divinatorie nessun tibetano si sentirebbe di mettere in dubbio.

Trovato un bambino le cui caratteristiche sembravano essere quelle richieste, i membri della delegazione monastica lo sottoponevano a una sorta di “prova” per verificare se fosse veramente colui che stavano cercando. In modo particolare gli venivano mostrati, in mezzo ad altri, oggetti appartenuti al precedente Dalai Lama per vedere se il bambino li riconosceva. Una volta accertato che ci si trovava in presenza della nuova incarnazione dell’ “Oceano di Saggezza” il piccolo veniva portato a Lhasa per essere insediato sul Trono del Leone (nell’imponente palazzo del Potala fatto edificare dal V Dalai Lama nel diciassettesimo secolo), allevato come monaco buddhista e accudito fino alla maggiore età da tutori e precettori scelti tra i più rinomati eruditi del Tibet. Giunto alla maggiore età, in genere 18 anni, il Dalai Lama prendeva formalmente possesso della sua carica di capo del governo e dello stato.

 

di Piero Verni