Il Piano di Pace in 5 punti


Il 21 settembre 1987, davanti alla Commissione per i Diritti Umani del Congresso degli Stati Uniti d’America, il Dalai Lama presentò un Piano di Pace in Cinque Punti, la cosiddetta “Via di Mezzo”, quale realistica proposta sulla cui base intavolare delle trattative con il Governo della Repubblica Popolare Cinese. Il Piano prevedeva:

1. la trasformazione dell’intero Tibet in una zona di Ahimsa, un territorio demilitarizzato di pace e non-violenza;
2. l’abbandono della politica di trasferimento della popolazione da parte della Repubblica Popolare Cinese;
3. il rispetto dei diritti umani fondamentali e delle libertà democratiche;
4. il ripristino e la protezione dell’ambiente naturale;
5. l’avvio di serie trattative sul futuro status del Tibet e su rapporti tra il popolo cinese e quello tibetano.

Il 15 giugno 1988, in un’aula del Parlamento Europeo, a Strasburgo, il Dalai Lama, deciso a trovare un accordo con i cinesi dopo l’ennesimo massacro avvenuto a Lhasa la primavera di quell’anno, mise a punto una nuova proposta, di fatto una rielaborazione del quinto punto del Piano di Pace. Questo il passaggio saliente della Dichiarazione di Strasburgo:

“L’intero territorio del Tibet conosciuto come Cholks-Sun (comprendente U-Tsang, Kham e Amdo) dovrebbe divenire un’entità politica democratica autogovernantesi, basata sul diritto in virtù del consenso del popolo, per il bene comune e la protezione di se stesso e del suo ambiente, in associazione con la Repubblica Popolare Cinese.
Il Governo della Repubblica Popolare dovrebbe rimanere responsabile della politica estera tibetana. Il Governo del Tibet potrebbe tuttavia stabilire e mantenere relazioni internazionali per quanto concerne la Religione, il Commercio, L’Educazione, la Cultura, il Turiamo, la Scienza, lo Sport e altre attività non politiche, attraverso un suo Ufficio per gli Affari Esteri”.

Tale dichiarazione sancì la fine della richiesta dell’indipendenza in cambio del riconoscimento di un’autentica autonomia sociale, politica, religiosa e culturale.

Dopo il conferimento del Premio Nobel per la Pace al Dalai Lama, nel 1989, e nel corso degli anni ’90, fino ai nostri giorni, sono state approvate, in tutto il mondo e anche in Italia, numerosissime risoluzioni parlamentari in cui si condanna la violazione dei diritti umani in Tibet e si chiede alla Cina di dare avvio a concreti negoziati per una soluzione pacifica del problema sulla base della proposta del leader tibetano. Capi di stato e di governo hanno incontrato il Dalai Lama e i suoi rappresentanti e hanno espresso a Tenzin Gyatso sostegno e solidarietà. Tuttavia, le forti pressioni esercitate dalla Repubblica Popolare, la sua dimensione geopolitica e considerazioni di carattere economico hanno finora reso la comunità internazionale esitante e restia a prendere una concreta e decisa posizione sulla questione.