Prigionieri politici

Si definiscono prigionieri politici coloro i quali sono incarcerati a causa delle loro opinioni politiche, religiose o della loro etnia. Ogni anno centinaia di tibetani sono arrestati e detenuti per aver espresso pacificamente il loro credo politico o religioso. Gli arresti in massa dei tibetani iniziarono all’epoca dell’invasione del Tibet, nel 1949, ma con l’avvio delle politiche di “liberalizzazione” della Cina, agli inizi degli anni ’80, prese il via una nuova ondata di detenzioni, torture e condanne. L’età non costituisce un ostacolo all’arresto per reati politici e persino bambini di 13 anni sono detenuti insieme ai prigionieri adulti.

A metà del 2000, circa 500 Tibetani risultano essere in carcere per reati di questo tipo e attualmente sono noti i casi di 73 prigionieri politici che scontano condanne di 10 o più anni.

Nonostante sia uno dei firmatari della Convenzione Internazionale per i Diritti Civili e Politici, la Repubblica Popolare Cinese non ha protetto i diritti civili e politici dei suoi cittadini. I prigionieri politici, arrestati solamente per aver esercitato una loro legale prerogativa, una volta incarcerati, perdono molti altri diritti. Vengono sottoposti a torture fisiche e mentali e tenuti in isolamento, in condizioni ben al di sotto di ogni standard internazionale. Perdono inoltre il diritto a un processo giusto o a qualsiasi garanzia legale, rimanendo privi di ogni possibilità di difendersi dalle accuse.

 



IL SISTEMA LEGALE CINESE: “Prima il verdetto, poi il processo”

Secondo l’ordinamento giuridico cinese, diritti legali basilari quali la “presunzione di innocenza fino a prova contraria” e il diritto alla difesa sono sostituiti dalle linee di principio cinesi “prima il verdetto, poi il processo”, “clemenza per chi confessa, severità per chi nega” oppure “correzione e rieducazione attraverso il lavoro”.

Durante le indagini, che possono durare da diversi mesi fino a un anno, il sospettato è generalmente tenuto in isolamento e, in molti casi, è ignorata anche la disposizione in base alla quale la polizia deve informare la famiglia del sospettato entro 24 ore dall’arresto.

Molte famiglie non sono mai ufficialmente informate dell’arresto dei loro parenti e sono avvisate solo al momento del processo. Anche allora, le famiglie incontrano molte difficoltà a capire esattamente in quale prigione i loro cari siano detenuti. La mancanza di informazioni rende l’intera esperienza ancora più stressante sia per i prigionieri sia per le loro famiglie.

Nel nuovo Codice di Procedura Penale è stata introdotta l’espressione “minaccia per la sicurezza dello stato”, che sostituisce l’espressione utilizzata in precedenza di “contro-rivoluzionario”. Questo consente alle autorità cinesi di utilizzare la formula “segreto di stato” a giustificazione dell’arresto e della detenzione e negare al sospettato il diritto alla difesa per tutto il periodo delle indagini e degli interrogatori.

Per gli imputati politici Tibetani è molto difficile ottenere un difensore soprattutto per motivi finanziari o per la riluttanza degli avvocati che temono di essere accusati di sostenere i “separatisti”.

Gli imputati sono anche restii a ricorrere in appello, poiché i ricorsi sono generalmente inutili e l’Alta Corte si limita a confermare la decisione del tribunale di primo grado, senza rivedere il caso. Chi ricorre in appello può anche dover subire un verdetto più severo in quanto il giudice d’appello può prolungare la pena detentiva.



LIMITAZIONE DELLA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE

Il diritto alla libertà di espressione e di opinione è chiaramente espresso nell’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: “Ciascuno ha diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include la libertà di professare le proprie opinioni senza intromissioni e di chiedere , ricevere o diffondere informazioni o idee attraverso qualsiasi mezzo e senza limiti di frontiere”. Tuttavia, in Tibet, l’esercizio del diritto alla libertà di parola e di espressione non esiste: esprimere una qualsiasi opinione contraria alle politiche del governo cinese è considerato anti-nazionale e le conseguenze sono l’arresto e la detenzione.

La Repubblica Popolare Cinese ha costantemente negato al popolo del Tibet il fondamentale diritto di professare le proprie opinioni politiche o religiose. Per questo motivo la Cina ha avviato, nel 1996, la campagna “Colpisci Duro” che mira a sradicare la fedeltà dei tibetani nei confronti del Dalai Lama, del Panchen Lama tibetano e della stessa nazione tibetana. Inizialmente limitata alle istituzioni monastiche, nel 1999 la campagna è stata estesa a tutto il contesto sociale. Nel gennaio 1999, la Cina a lanciato una campagna a favore dell’ateismo, violando il diritto dei tibetani a professare la loro religione. Qualsiasi espressione pacifica del nazionalismo tibetano o di critica alla politica cinese può portare all’arresto.



ARRESTI E DETENZIONI ARBITRARI
Secondo le Nazioni Unite, un arresto si considera illegittimo se effettuato (a) su basi o secondo procedure diverse da quelle previste per legge; oppure (b) secondo previsioni di legge che siano in contrasto con il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona. Tutte le forme di espressione contrarie al Partito Comunista Cinese sono causa di arresto in Tibet. Quasi tutti i prigionieri politici tibetani sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente. L’accusa più comune consiste nell’imputazione di “minaccia alla sicurezza dello stato”. Il nuovo Codice di Procedure Penale cinese non ha introdotto alcuna misura che limiti l’incidenza degli arresti arbitrari e quindi i tibetani corrono ancora il rischio di essere arrestati per aver espresso opinioni contrarie alla ideologia ufficiale cinese. Il problema fondamentale in Tibet è che le considerazioni politiche vengono anteposte alle norme del codice penale.

Il Gruppo di Lavoro sulla Detenzione Illegittima, riunitosi in Tibet nel 1997, ha espresso in questi termini la sua preoccupazione: “anche se l’espressione crimini contro-rivoluzionari è stata abolita, la giurisdizione dello Stato è stata ampliata. Di conseguenza, anche le azioni dei singoli individui, nell’esercizio della propria libertà di espressione e di opinione, possono essere considerate minaccia alla sicurezza nazionale.” Ciò consente alla Repubblica Popolare Cinese di continuare ad effettuare arresti arbitrari per sopprimere le opinioni sovversive, in aperta violazione del diritto alle libertà civili individuali e del diritto alla libertà di espressione ed opinione.



LE CONDIZIONI CARCERARIE
Le condizioni carcerarie in Tibet sono disumane. Vengono applicati innumerevoli metodi di tortura, sia fisici che psicologici, per estorcere “confessioni” o semplicemente come strumenti di umiliazione quotidiana. Le celle sono estremamente piccole rispetto al numero dei prigionieri detenuti e i prigionieri, anche durante l’inverno, generalmente dormono sul pavimento, senza materassi né coperte. L’igiene non viene tenuta in alcuna considerazione: le celle sono sporche, talvolta con escrementi sul pavimento; i prigionieri hanno come unico servizio igienico un bidone che viene tenuto nella cella, spesso nello stesso spazio dove devono mangiare; ci sono pochissime opportunità di potersi lavare ed alle donne non sono forniti gli assorbenti igienici durante le mestruazioni.

Jampel Monlam è uno dei tanti prigionieri politici Tibetani che ha trascorso anni dietro le sbarre per aver esercitato il suo diritto alla libertà di espressione. Ha trascorso cinque anni nella prigione di Drapchi dove veniva tenuto in una piccola cella con altri 12 prigionieri. Dormivano tutti in un unico lungo letto e dovevano condividere un bidone come servizio igienico. Durante i suoi cinque anni di detenzione poté lavarsi solo due volte.

Cibo ed acqua sono bisogni umani elementari e devono essere forniti in quantità adeguate. Invece, le autorità cinesi razionano sia cibo che acqua come forma di punizione. Il regime alimentare in prigione è decisamente povero sia per qualità che per quantità. In molti casi il cibo è anche estremamente sporco o cosparso di insetti morti.

Un certo numero di prigionieri politici viene inoltre messo in cella di isolamento quale punizione per le più disparate attività, dall’aver partecipato a manifestazioni di protesta all’aver cantato canzoni inneggianti alla libertà. Questi prigionieri vengono messi in celle buie ed anguste che misurano circa 2 metri per 1 metro, spesso con mani e piedi ammanettati e le loro razioni di cibo sono ulteriormente ridotte. La detenzione in isolamento è una delle peggiori esperienze carcerarie di cui si abbia testimonianza. Negli anni ’80 la Cina introdusse anche una nuova forma di detenzione in isolamento conosciuta come “cella fredda”. Le piccole celle sono foderate di lamiera così che la temperatura può scendere fino a –10° C .

Gaden Tashi fu tenuto in cella di isolamento per 34 giorni nel carcere di Outridu. “Nei primi tre giorni ebbi una paura insopportabile e pensai addirittura al suicidio. Quella cella buia era considerata dalla maggior parte dei prigionieri come una delle più spaventose esperienze che ci potessero capitare … Quando il tempo era bello e c’era il sole, in cella riuscivo appena a vedere le mie mani. Se il tempo era coperto, non riuscivo a distinguere il giorno dalla notte. Quando fui rilasciato, rimasi cieco per diverse ore, non riuscivo a vedere nulla.”



LE TORTURE IN CARCERE
Ex prigionieri politici hanno descritto innumerevoli metodi di tortura crudeli e degradanti che includono, fra gli altri, il ricevere scariche elettriche in ogni parte del corpo per mezzo di un pungolo per bovini e l’essere obbligati a rimanere a piedi nudi sul terreno ghiacciato fino a che la pelle dei piedi non rimane attaccata al terreno stesso.

Le tecniche di tortura impiegate nelle prigioni cinesi cambiano di volta in volta e nuovi metodi di tortura sono messi a punto per non lasciare tracce visibili. Molti ex prigionieri hanno detto di aver sentito dire dagli ufficiali delle prigioni frasi come “Non ferirlo all’esterno del corpo, mettilo fuori uso con delle ferite interne.”

Oltre alle torture fisiche, i prigionieri devono subire talvolta veri e propri traumi psicologici. Per obbligarli a denunciare il Dalai Lama o altri compatrioti, gli ufficiali delle prigioni spesso minacciano i prigionieri di fare del male alle loro famiglie.

Le donne prigioniere politiche in Tibet subiscono le forme di tortura più degradanti. Spietati pestaggi, stupri e violenze di tipo sessuale, quali lacerazioni ai capezzoli, l’inserimento di pungoli elettrici per bovini nei genitali o scosse elettriche date tramite cavi elettrici avvolti intorno al petto ed al corpo sono alcune fra le tante atrocità di cui si ha testimonianza.

Nel 1997, la Commissione Internazionale dei Giuristi interrogò in Tibet ex poliziotti, giudici e detenuti e confermò che la tortura dei detenuti politici era una pratica comune.



LE CURE MEDICHE
I prigionieri vengono generalmente ricoverati a seguito delle gravi ferite ricevute durante le torture o per le malattie contratte a causa delle pessime condizioni igieniche. Alcuni ex prigionieri politici hanno riferito che, durante il loro ricovero in ospedale, le famiglie ebbero difficoltà a riconoscerli. Se i prigionieri si ristabiliscono, devono tornare in prigione per finire di scontare la condanna.

I detenuti che vengono ricoverati sono generalmente accompagnati dalle guardie carcerarie e in alcuni casi sono anche ammanettati al letto dell’ospedale. Se, una volta ricoverato, il prigioniero non mostra segni di miglioramento, viene imposto alla sua famiglia di firmare una “dichiarazione di responsabilità”, il che significa che dovrà pagare tutte le spese mediche a partire dalla data della firma.

Se una persona è in punto di morte a causa delle torture, viene rilasciata su “parere medico”. Questa procedura ha due motivazioni principali: in primo luogo gli ospedali del carcere non hanno le strutture adatte a fornire cure adeguate e, in secondo luogo, se un prigioniero muore fuori dalle mura del carcere, il governo cinese appare meno colpevole.

A cura del Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia – Novembre 2000