Taiwan elegge Lai, il “pericoloso indipendentista”. E Pechino precisa: “Inevitabile riunificazione”

15 gennaio 2024

E adesso? Ora che il “pericoloso indipendentista” (come viene considerato a Pechino) William Lai ha vinto le elezioni presidenziali di Taiwan e si appresta a diventare il nono presidente della Repubblica di Cina (come dice la dicitura ufficiale, contestata dalla Città Proibita), cosa accadrà? Forte dei suoi 5 milioni e 300mila voti, pari al 40,2%, come si porrà nei confronti del gigante che lo osserva dalla sponda opposta dello Stretto?

E, ci si chiede soprattutto in queste ore, come reagirà Xi Jinping, che ha promesso la riunificazione dei due territori in “una sola Cina”? Ci sarà la tanto temuta e minacciata guerra di invasione, per sedare le aspirazioni e lo spirito autonomista dell’isola ribelle?

Proprio tra i primissimi commenti ufficiali al risultato, si segnala quello cinese: le elezioni a Taipei e il loro esito “non impediranno l’inevitabile tendenza alla riunificazione della Cina”, ha commentato Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan a Pechino. Il voto, quindi, non cambierà “il panorama di base e la tendenza allo sviluppo dei rapporti tra le due sponde dello Stretto e non altereranno l’aspirazione condivisa dei compatrioti dello Stretto di Taiwan a stringere legami più stretti” ha precisato il portavoce da Pechino. Dall’altro lato “del mondo” (e non solo del Pacifico), è invece arrivata la netta precisazione di Joe Biden: “Gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwanha dichiarato il presidente americano.

Un profilo di William Lai

Vicepresidente del Partito progressista democratico (DPP), di centrosinistra, lo stesso della presidente uscente Tsai Ing-wen. 64 anni, medico che vanta nel curriculum anche l’Università di Harvard. Entrato in politica a inizio anni Ottanta, quando Taiwan divenne una libera democrazia, e dopo aver deciso di abbandonare la professione, Lai è stato sindaco della città di Tainan, nel sud-ovest del Paese, e primo ministro dal 2017 al 2019. Di fatto, un ultra-progressista del partito, che ha sempre spinto per la maggiore autonomia di Taiwan dalla Cina.

Martedì scorso, in un suo intervento, aveva detto di essere pronto a rilanciare il dialogo, dopo circa otto anni di rifiuto quasi totale da parte di Pechino di comunicare con i leader dell’isola. Lai ha anche fatto sapere che continuerà la politica dell’attuale amministrazione, volta a mantenere l’indipendenza de facto di Taiwan, nonostante le minacce del Partito comunista cinese di annetterla con mezzi politici, militari o economici.

Gli scenari più probabili

Considerando tutto questo, è difficile – o comunque non auspicabile da entrambe le parti – che il risultato elettorale delle presidenziali significhi automaticamente “guerra”. Certo, la vittoria di Lai non è sicuramente un tranquillo viatico. Tanto che nei giorni precedenti il voto persino il già citato Chen Binhua aveva consigliato di non votare Lai, definendolo “un istigatore di conflitti tra le due sponde”. Quello Stretto che separa la costa del continente dall’antica Formosa (come la chiamarono i colonizzatori portoghesi che vi giunsero nel XVI secolo) è troppo importante per il commercio mondiale, per essere chiuso da un conflitto che peserebbe sui traffici internazionali, ha calcolato Bloomberg Economics, in 10mila miliardi di dollari.

Quindi, l’ipotesi più accreditata è che da parte della Cina continueranno le dimostrazioni di forza, le manovre militari e le esercitazioni come quelle svolte negli ultimi mesi intorno all’isola. Senza però sfociare in una guerra aperta. Taiwan, del resto, è troppo vitale per l’economia mondiale, per il suo ruolo nella produzione di semiconduttori che vengono venduti sulle piazze del continente asiatico ma anche su quelle americane, europee e africane.

Un dato indubitabile è che Lai presidente rappresenta un risultato che è anche una vittoria per l’isola e per la sua storia democratica: per la prima volta, infatti, lo stesso partito presidierà il Paese per tre mandati consecutivi. Probabilmente Lai non dichiarerà formalmente l’indipendenza di Taiwan, sostenendo che l’isola funziona già di fatto come Paese indipendente, sotto il nome di Repubblica cinese. Si spera solo che la sua vittoria non stressi ulteriormente i rapporti con il Dragone, che considera Taipei una sua provincia.

I risultati degli sfidanti

Considerato favorito sin dall’inizio della campagna elettorale, i sondaggi hanno dato Lai sempre in vantaggio rispetto al candidato del Partito nazionalista o Kuomintang, Hou You-yi, propenso a un’eventuale unificazione con la Cina, e quindi più amato da Pechino. Hou ha raccolto il 33,38% dei consensi, pari a 4 milioni e 400mila voti. Il front-runner del partito che fu di Chiang Kai-shek è stato capo della polizia dell’isola, è molto popolare e ricopre la carica di sindaco di Nuova Taipei.

Il partito nazionalista, dominus per decenni della politica taiwanese, in feroce antagonismo con Pechino, negli ultimi sedici anni ha assunto posizioni più gradite oltre lo Stretto, con i famosi tre no: all’unificazione, all’indipendenza, al confronto militare. Hou ha proposto la strategia delle tre “d”: deterrenza, dialogo e de-escalation. Rifiutandosi di dichiarare l’indipendenza e la formula di Pechino applicata a Hong Kong, è stato il portatore di una visione per cui con la Cina si dovesse comunque “trattare”.

Poche chances aveva invece il terzo contendente, Ko Wen-je, del Partito popolare alternativo di Taiwan: molto amato dai giovani, forte di una presenza considerevole sui social (ma, al tempo stesso, inguaribile gaffeur), Ko ha totalizzato il 26,34%, pari a 3.485.037 voti. Medico come Lai, sindaco per otto anni di Taipei, ha goduto di molta popolarità nel nord dell’isola, Ko ha impostato la campagna come un confronto tra vecchia e nuova politica, in questo distinguendosi dagli altri candidati e volendo uscire dalla dicotomia tra indipendenza sì/indipendenza no.

Altro dato da segnalare in questa sera di scrutini, il fatto che nessun partito sia riuscito a ottenere la maggioranza nelle elezioni legislative, tenute in contemporanea alle presidenziali. Vale a dire, nessuna formazione ha raccolto i 57 seggi necessari per la maggioranza nel Parlamento monocamerale, lo Yuan. Questa assemblea è composta da 113 seggi e il Kuomintang ne avrebbe incassati 52, mentre il Dpp di Lai sarebbe indietro di un seggio, contro gli 8 del Tpp. Gli altri 2 sarebbero andati a candidati indipendenti.

I commenti di Bruxelles: “Pace e stabilità nello Stretto di Taiwan sono elementi chiave per la sicurezza e lo sviluppo nella regione e a livello globale”

“Pur aspirando alla pace, non nutriamo illusioni”, aveva detto il nuovo capo dello Stato di Taipei in una conferenza stampa, prima delle elezioni. “Rafforzeremo la deterrenza della difesa, le capacità di Taiwan in termini di sicurezza economica, i partenariati con le democrazie di tutto il mondo e manterremo una leadership stabile e basata su principi nelle relazioni. Siamo pronti e disposti a impegnarci per dare di più alle persone su entrambi i lati dello Stretto. La pace non ha prezzo e la guerra non ha vincitoriha detto Lai.

Tra i commenti giunti negli ultimi minuti, anche quello da Bruxelles e delle istituzioni europee, che si congratulano “con Taiwan per la partecipazione della popolazione alle elezioni”; in una nota, si ricorda che i “nostri sistemi di governo sono basati sul rispetto dei principi democratici, dello stato di diritto e dei diritti umani”. L’Ue sottolinea inoltre che “la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan sono elementi chiave per la sicurezza e lo sviluppo nella regione e a livello globale. L’Ue – si legge ancora nella nota – resta preoccupata per le crescenti tensioni nell’area e si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiamento dello status quo”.

 

RaiNews.it -14gennaio 2024