Un ragazzo di 16 anni si dà fuoco e muore

DARJEE_91-kVzE-U4316057597210536F-768x576@Corriere-TabletDorjee Tsering, 16 anni, studente tibetano che abitava in India, si è immolato gridando «Tibet libero». Seguendo molti altri — anche giovanissimi — morti negli ultimi anni come «chomedey» (lampade) per protesta contro Pechino.

Poco più che un bambino. Gli occhi scuri, un viso serio, interrogativo, maturo. Una questione più grande dei suoi 16 anni. Dorjee Tsering è morto, qualche giorno fa, dopo una breve agonia ed è già stato seppellito: si era dato fuoco a Herbertpur, un villaggio indiano posato sulle colline che conducono all’Himalaya, luogo di residenza di tanti tibetani fuggiti all’indomani dell’invasione cinese del Tetto del Mondo, nel 1959. E Dorjee, come 140 tra monaci e «civili» prima di lui — il primo, secondo la International Campaign for Tibet, nel 1998; l’ultimo pochi giorni prima, lo scorso lunedì: e aveva solo 18 anni — si è immolato gridando «Tibet libero».

 

I funerali di Dorjee Tsering, immolatosi a 16 anni per il Tibet libero

Una «lampada» per il Tibet

Un atto estremo, senza ritorno, una decisione forse troppo grande per questo giovane che aveva tutta la vita davanti a sé. «Il motivo per cui mi sono deciso a bruciare me stesso come un chomedey (lampada alimentata a burro, ndr) è perché il Tibet è stato occupato dalla Cina dal 1959 e ho sempre sentito il bisogno di fare qualcosa per la causa tibetana. Mi sono sentito come se il bruciarmi fosse l’unica risorsa che mi era rimasta — ha raccontato Dorjee, con un fil di voce, ai suoi soccorritori —. Credo che questo atto provocherà uno scossone in chi ne sente parlare. La gente penserà che un ragazzo si è bruciato per il suo Paese e questo servirà a creare consapevolezza. Paesi come l’Inghilterra, America e Africa (le nazioni africane) sapranno del Tibet e il loro supporto per noi si rafforzerà. Tibet Libero! E prego che Sua Santità viva per molte migliaia di anni».

L’abitudine all’inaudito

Dorjee alla fine si è spento, come il suo lumicino al burro, come le fiammelle votive che illuminano le volte prive di luce dei templi buddhisti, spandendo nell’aria percorsa dalle nenie sacre l’odore così caratteristico dell’impasto giallastro ricavato dal latte di yak. Si è spento nel pressoché totale silenzio. Perché la verità è che molto di rado i media internazionali si accorgono di questi atti così estremi, un po’ perché si ripetono sempre uguali e nulla disturba la comunicazione più che «l’abitudine». Un po’ perché il Tibet è una questione che stenta a sollevare i cuori e le passioni, con uno status quo che non è realisticamente in procinto di cambiare: la Cina amministra la Regione autonoma del Tibet dal 1959, ne reclama l’appartenenza alla sua sfera da secoli. E pace se lo sviluppo, la modernità portata dal nuovo corso economico ne stanno alterando cultura e fisionomia. La questione politica non è all’ordine del giorno. E di Dorjee Tsering, tra poco, resterà il ricordo soltanto nei cuori dei suoi cari. (Qui sotto, Hillary Clinton con la foto di Dorjee insieme al presidente del Tibetan National Congress, lo scorso 2 marzo, in Minnesota)

«Se lo facessi, mamma, saresti orgogliosa?»

Parlando ai media locali, subito accorsi al suo capezzale, la madre del ragazzo ha detto di aver visto suo figlio correre e gridare mentre era avvolto dalle fiamme; lei lo ha trascinato sotto il rubinetto per spegnere il fuoco che lo divorava. Il Tibet Times ha riportato le sue dichiarazioni: «Lo scorso settembre, mentre parlavamo al telefono mi ha chiesto se si fosse immolato in un rogo per la causa tibetana sarei stata orgogliosa di lui…. Io l’ho rimproverato e spinto ad abbandonare tali pensieri. Gli ho detto che ci sono molti altri modi per servire il Tibet. Ho anche minacciato che se non avesse abbandonato questi pensieri avrei ucciso me stessa prima di lui. In seguito si è scusato e mi ha assicurato che non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Aveva poi chiesto al padre la stessa cosa. Non abbiamo mai pensato che un ragazzo così giovane sarebbe stato capace di fare una cosa del genere, abbiamo pensato che fosse un impulso del momento, un pensiero di passaggio e che non lo avrebbe preso sul serio». Forse una mamma, considerando quanto viene insegnato ai figli del Tibet in esilio, avrebbe dovuto prendere con più prudenza le rassicurazioni di Dorjee. Ma come immaginare un’azione tanto radicale? «In ospedale — sono ancora le parole della madre — mi ha chiesto di non guardarlo in faccia». Secondo il Tibet Times la madre disperata e in lutto era comunque «fiera» del suo Dorjee. Ma anche lei, ne siamo sicuri, sarebbe d’accordo nel dire che a 16 anni una vita non si possa spegnere così.

(Sfiorando l’icona blu, l’Extra per voi di Paolo Salom sulla chiusura del Tibet agli stranieri da parte della Cina per evitare «disordini»)

Di Paolo Solom
Corriere.it