ECCEZIONALI MISURE DI SICUREZZA IN TUTTO IL TIBET. NUOVE PROTESTE E ARRESTI

soldati_a_xiaheDharamsala, 8 marzo 2009. Alla vigilia del 50° anniversario dell’insurrezione tibetana del 1959, le autorità cinesi hanno rafforzato, in tutto il Tibet, i controlli e le misure di sicurezza. Per evitare il ripetersi delle manifestazioni che, lo scorso anno, hanno infiammato l’intero paese, il governo di Pechino ha fatto affluire nuove truppe sia nella regione autonoma sia nelle circostanti aree abitate da popolazioni di etnia tibetana. I funzionari governativi ostentano tranquillità: “In Tibet non dovrebbero verificarsi grossi incidenti, simili a quelli del 14 marzo dello scorso anno”, ha dichiarato a Pechino Qiangba Puncoq, presidente della Regione Autonoma. “Sono assolutamente certo che la situazione in Tibet è stabile, anche se non è possibile prevenire modeste manifestazioni di piazza da parte di piccoli gruppi, composti, al massimo, da tre a cinque persone”. “Dopo le proteste dello scorso anno” – ha concluso – un numero sempre maggiore di tibetani ha capito che la stabilità è una benedizione e la turbolenza è un disastro”.Si hanno tuttavia notizie di nuove manifestazioni e arresti. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha dato notizia dell’arresto di due donne che, in differenti momenti, la mattina del 3 marzo, hanno protestato di fronte all’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Kardze. Si tratta di Jampa Lhamo, trentasei anni, e della monaca ventiduenne Pema Yangzom. Entrambe hanno distribuito volantini, alcuni scritti in lingua cinese, nei quali si invocava il ritorno del Dalai Lama, il rispetto dei diritti umani in Tibet e la liberazione del Panchen Lama e dei prigionieri politici.
Poche ore dopo, due studenti e un monaco, rispettivamente Rinchen Phuntsok, ventidue anni, Tsering Drakpa, diciassette, e Achoe, ventidue, hanno dato vita a una nuova protesta di fronte al quartier generale della Contea di Kardze. Sembra che, lo stesso giorno, una ragazza, la cui identità è rimasta sconosciuta, abbia inscenato una terza manifestazione di protesta. Data l’esorbitante presenza delle forze di sicurezza, tutti i manifestanti sono stati arrestati nel giro di pochi minuti e portati in differenti centri di detenzione.

Il 2 marzo, venti monaci del monastero di Gomang, situato a metà strada tra i monasteri di Kirti e di Sey, sono usciti dal monastero e hanno iniziato a marciare. Nel volgere di breve tempo, almeno duecento persone, monaci e laici, si sono unite a loro al grido di “Lunga vita al Dalai Lama”, “Vogliamo i diritti umanai” e “Insorgete, voi tutti ‘mangiatori di tsampa!’”
Con le lacrime agli occhi, molti passanti hanno assistito alla scena. Solo tre ore più tardi, i responsabili del monastero sono riusciti a convincere i dimostranti a far ritorno a Gomang. Nella notte, un monaco ventenne, di nome Thangzin, è stato arrestato.

tabey_a_terraL’agenzia di stato Xinhua ha riferito che le condizioni di Tabey, il monaco del monastero di Kirti che si era dato fuoco il 27 febbraio (nella foto a terra, circondato dai militari), sono migliorate ed è fuori pericolo. Le autorità cinesi hanno smentito di aver aperto il fuoco. Xinhua fa sapere che Jangkar, un monaco di Kirti, ha confessato di aver mentito riferendo la notizia degli spari “per creare maggior scompiglio e attrarre l’attenzione”. È evidente l’intento di Pechino di minimizzare l’accaduto.