20 maggio 2025.
Il 17 maggio leader politici di tutto il mondo e i tibetani in esilio hanno rinnovato il loro appello alla Cina affinché fornisca notizie sulla sorte dell’11° Panchen Lama del Tibet
Gedun Choekyi Nyima, è nato il 25 Aprile 1989 a Lhari in Tibet. Il 14 maggio 1995, l’attuale XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso lo riconobbe quale reincarnazione del X Panchen Lama, la seconda carica spirituale del Buddhismo Tibetano. Tre giorni dopo, il 17 aprile, il bambino fu rapito con tutta la famiglia e da allora se ne sono perse le tracce. Al suo posto il Governo di Pechino nominò un Panchen Lama di regime, Gyaincain Norbu, figlio di funzionari governativi, poi educato nella completa adesione alle direttive del Partito Comunista Cinese. Amnesty International definì all’epoca Gedun Choekyi Nyima “il prigioniero politico più giovane del mondo”. Ad oggi, nonostante le pressioni dell’ONU, di organizzazioni umanitarie Internazionali, gruppi di sostegno alla causa tibetana, movimenti sindacali, partiti politici e parlamentari di numerose nazioni, le autorità della Repubblica Popolare Cinese hanno solo dichiarato che il bambino e i suoi genitori “sono stati affidati al Partito Comunista per essere protetti dai tentativi di rapimento messi in atto dai seguaci del Dalai Lama e della sua cricca”
Il Panchen Lama filo-cinese non è mai stato accettato dai Tibetani che gli negano ogni legittimità. Il motivo del rapimento del vero Panchen Lama è di natura politica. Per tradizione, dopo la morte del Panchen Lama, il Dalai Lama ne riconosce la reincarnazione e, viceversa. Quindi attraverso un Panchen Lama “di regime”, le autorità cinesi ritengono che, alla morte dell’attuale Dalai Lama, il falso Panchen Lama sceglierà, come massima autorità del Tibet, una figura “fantoccio”, gradita al Partito.
Il 17 maggio, a Dharamsala, attivisti del movimento Tibetan Youth Congress hanno chiesto l’immediato rilascio del Panchen Lama e condannato il governo di Pechino per avere riconosciuto al suo posto un falso Panchen Lama, strumento della propaganda politica del Partito Comunista.
Lo stesso giorno, a Bruxelles, sette membri del Parlamento Europeo appartenenti a quattro diversi gruppi politici hanno chiesto all’Alto Rappresentante Kaja Kallas di rivolgersi alla Cina affinché faccia chiarezza sul luogo in cui il Panchen Lama è trattenuto e ne invochi l’immediato rilascio. Hanno inoltre domandato se la questione sarà sollevata nel corso dei prossimi dialoghi tra Unione Europea e Cina e sottolineato l’importanza di conoscere la posizione dell’Europa sull’intenzione espressa dalla Cina di interferire nel processo di riconoscimento della reincarnazione dell’attuale Dalai Lama.
Negli Stati Uniti due senatori, un democratico e un repubblicano, in un comunicato congiunto hanno definito il rapimento del Panchen Lama “un affronto al popolo tibetano e alla sua libertà religiosa” biasimando il comportamento del governo di Pechino reo ormai da decenni di aver negato ai tibetani il diritto all’autodeterminazione e di essersi sottratto a un dialogo diretto tra il Dalai Lama o i suoi rappresentanti.
In Italia, il senatore Andrea De Priamo, presidente del Gruppo Interparlametare Italia Tibet ha lanciato un forte appello per la libertà del Panchen Lama e la libertà del Tibet in cui si legge che il tragico caso del Panchen Lama costituisce una seria violazione dei fondamentali diritti umani e della libertà religiosa del popolo tibetano. “Al posto del legittimo Panchen Lama il governo cinese ha nominato una figura eletta dallo stato, senza alcuna legittima autorità spirituale e del tutto invisa al popolo tibetano, con l’apparente scopo di esercitare un controllo politico sul futuro della leadership religiosa tibetana. Con rispetto ma con fermezza chiediamo alle autorità della Repubblica Popolare Cinese di fornire notizie sul luogo e le condizioni di salute del Panchen Lama e della sua famiglia e di sostenere gli inalienabili diritti del popolo tibetano all’autodeterminazione religiosa e culturale”. Dopo un invito alla comunità internazionale, ai governi nazionali e alle organizzazioni per i diritti umani a continuare e intensificare ogni iniziativa diplomatica, l’appello del senatore De Priamo si chiude con queste parole: “Non dimentichiamo Gedun Choekyi Nyima, non dimentichiamo il Tibet”.
Fonte: Phayul – redazione