Il governo tibetano in esilio respinge ogni tentativo di sinizzazione del buddismo tibetano auspicato da Xi Jinping

polizia blocca praticante2 settembre 2020. Lobsang Sangay, presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana, ha respinto con fermezza ogni tentativo di sinizzazione del buddismo tibetano recentemente auspicato da Xi Jinping.

Il presidente Lobsang Sangay ha definito “fuorvianti” e “irrealistiche” le direttive politiche enunciate dal presidente cinese Xi Jinping nel corso del 7° Simposio sul Tibet tenutosi a Pechino i giorni 28 e 29 agosto. Xi ha affermato la necessità che in Tibet il governo si adoperi per la salvaguardia dell’unità della madrepatria e dell’unità nazionale. “Dobbiamo insistere sull’educazione delle masse favorendo la loro partecipazione su larga scala alla lotta anti-secessione per realizzare una barriera di ferro, una fortezza inespugnabile, contro il separatismo. Dobbiamo insegnare loro la storia del Partito, della nuova Cina, del nuovo sviluppo del socialismo e dei rapporti tra le regioni tibetane e la madrepatria”. Ha inoltre enfatizzato la necessità del rafforzamento dell’educazione ideologica e politica all’interno delle scuole al fine di “piantare i semi dell’amore per la Cina nei cuori di ogni giovane tibetano”. “Approfondiremo e renderemo pubblica la realtà dei fatti sui rapporti e gli scambi intercorsi fin dai tempi antichi tra i vari gruppi etnici insegnando loro come mettere in pratica i valori del socialismo con caratteristiche cinesi. Saremo attivamente alla guida del buddismo tibetano per adattarlo alla società socialista e promuoverne la sinizzazione” (Nella foto: la polizia ferma una praticante all’ingresso di un tempio)

Immediata la presa di posizione di Lobsang Sangay, presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana. “La politica cinese di sinizzazione del buddismo tibetano altro non è che un fuorviante tentativo di esercitare un controllo sul credo religioso del popolo e sul principio della reincarnazione”. “Per i tibetani il buddismo è più importante del comunismo. Indurli a credere che il comunismo sia più importante della loro fede non è soltanto una violazione del diritto, riconosciuto a livello internazionale, alla libertà della pratica religiosa ma è anche profondamente fuorviante; la sinizzazione del buddismo non potrà mai avverarsi, ne è prova quanto avvenuto negli ultimi sessant’anni di dominio cinese”. “Alla base dell’instabilità all’interno del Tibet non vi è la fede religiosa dei tibetani ma le politiche repressive e fallimentari del governo cinese che altro non fanno se non peggiorare la situazione – ha proseguito Lobsang Sangay -, la stabilità del paese non si ottiene erigendo barriere inespugnabili ma ascoltando le richieste del popolo tibetano e ricordando i 154 martiri che si sono dati fuoco in segno di protesta contro le politiche repressive del governo cinese”. “La ripresa del dialogo con il Dalai Lama o i suoi inviati al fine di garantire al paese un genuina autonomia è la sola opzione in grado di risolvere la questione del Tibet”. Il presidente ha inoltre espresso la sua preoccupazione per l’espansionismo militare della Cina sull’altopiano tibetano e sulle confinanti regioni dell’Himachal Pradesh e dell’Uttarakhand. “Con il pretesto dello sviluppo e della modernizzazione, Pechino, nell’arco degli ultimi sessant’anni, ha militarizzato il paese incrementando l’arrivo di soldati, armi e coloni Han e creato i presupposti per una corsa agli armamenti anche nelle aree di confine. E’ in gioco la sicurezza non solo del Tibet ma dell’intera Asia, sicurezza che potrebbe e essere garantita solo facendo del Tibet un Zona di Pace con una totale smilitarizzazione dei suoi confini”.

Fonti: Central Tibetan Administration – Tibet.net – Phayul