PECHINO CHIEDE ALL’INDIA DI BLOCCARE IL MEETING DI DHARAMSALA

Pechino, 13 novembre 2008. Dopo aver nuovamente accusato il Dalai Lama di essere il solo responsabile del fallimento dei colloqui sino-tibetani, Pechino ha ufficialmente chiesto alle autorità indiane di bloccare la riunione d’emergenza convocata su proposta del leader tibetano per un confronto sul futuro del movimento di liberazione del Tibet.
Nel corso di una conferenza stampa, Qin Gang, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha così dichiarato: “Il governo indiano si è solennemente impegnato a non permettere attività anticinesi di qualsiasi tipo sul proprio territorio. Ci auguriamo che voglia rispettare tale impegno”. Ha aggiunto che chiunque parteciperà al meeting non sarà gradito al popolo cinese essendo il governo di Pechino contrario a chiunque tenti di dividere la nazione o di portare tale questione all’attenzione internazionale.
Qin ha inoltre affermato che ogni tentativo separatista “non porterà da nessuna parte” ed ha precisato che i partecipanti all’incontro non esprimono il punto di vista della maggioranza dei tibetani.
Al meeting di Dharamsala prenderanno parte oltre 500 delegati in rappresentanza di ministri, parlamentari e organizzazioni non governative. I lavori si terranno dal 17 al 22 novembre 2008.
Il 10 novembre, il vice ministro del Fronte Unito per il Lavoro Zhu Weiqun aveva accusato il Dalai Lama di aver tentato di trovare una “base legale” su cui fondare l’indipendenza o la semi-indipendenza del Tibet. “Di conseguenza, i nostri contatti e colloqui non hanno registrato alcun progresso e il Dalai Lama è responsabile di questo fallimento”. “Abbiamo detto chiaramente che gli interessi primari del popolo cinese sono l’unità della madrepatria, l’integrità territoriale e la dignità nazionale”, ha dichiarato Zhu. “Quello della sovranità è un punto fondamentale: non faremo mai alcuna concessione”.