“Hong Kong, l’ultimo colpo al dissenso”

Quante volte nei mesi scorsi la comunità internazionale ha protestato contro «l’ultimo assalto cine e alla libertà di Hong Kong?». Lo ha fatto ancora ieri, dopo che mille poliziotti hanno arrestato 53 esponenti politici del fronte democratico, nella più grande retata da quando il primo luglio del 2020 Pechino ha imposto alla città la sua Legge sulla sicurezza nazionale. E un’operazione sistematica di annientamento del dissenso quella in corso. Tra i 53 arrestati ci sono 15 ex parlamentari dell’opposizione; 15 candidati delle primarie democratiche; professori universitari; attivisti che non hanno mai combattuto la polizia in strada; anche un avvocato americano dei diritti civili. L’accusa è «sovversione», punibile da un minimo di dieci anni fino al carcere a vita. John Lee Ka-chiu, segretario alla Sicurezza di Hong Kong, ha detto che i 53 lavoravano a un «progetto eversivo, cospiravano per ottenere 35 o più seggi al Legislative Council, per paralizzare l’azione del governo e costringere la governatrice Carrie Lam a dimettersi». In democrazia, candidarsi alle elezioni per cambiare il governo si chiama opposizione, nella Repubblica popolare cinese cercare una forma alternativa a quella del Partito unico è «un piano malefico», come ha enunciato il funzionario Lee. Hong Kong era stata restituita dalla Gran Bretagna alla Cina nel 1997 con l’accordo che per cinquant’anni, fino al 2047, sarebbe stata retta da un sistema semi-libero, con un parlamento quasi-democratico. «Un Paese due sistemi» si chiamava quell’esperimento. È chiaro che la promessa scritta nel trattato internazionale è stata seppellita dalla nuova Cina di Xi Jinping. Vittime della retata sono i politici che si erano candidati alle primarie democratiche lo scorso luglio e gli attivisti che avevano organizzato il voto. Furono 610 mila i cittadini che si misero in coda pacificamente davanti ai seggi non ufficiali aperti in 250 negozi, sotto tendoni in strada, anche in un vecchio autobus dismesso. Quello fu l’ultimo atto di sfida massiccia della City. «Il popolo di Hong Kong ha fatto un miracolo», disse allora il professor di diritto Benny Tai, vecchio promotore di «Occupy Centrai» nel 2014, che era tornato a lavorare per la resistenza politica. E Benny Tai è il più noto tra i 53 arrestati ieri all’alba. II Legislative Council, il parlamento della City, conta 70 seggi e nelle elezioni del 2016 i democratici ne avevano conquistati 29, un numero molto significativo se si considera che metà dei posti erano assicurati comunque all’establishment filo-cinese e solo 35 uscivano dal voto popolare. Il rinnovo dell’assemblea era previsto per il 6 settembre del 2020 e per questo il fronte di opposizione si era mobilitato con le primarie, dalle quali erano emersi nuovamente personaggi come Joshua Wong.

 

Ma le elezioni generali sono state rinviate di almeno un anno dal governo, ufficialmente a causa della situazione sanitaria dovuta al coronavirus. Il vecchio Legislative Council era stato prorogato, mentre uno alla volta deputati democratici venivano espulsi per «mancanza di patriottismo», fino a quando lo scorso u novembre i 15 superstiti si sono dimessi in massa. L’opposizione parlamentare a Hong Kong non esiste più. E ora il governo filo-cinese si sta dedicando a chiudere i conti con coloro che si erano esposti nelle primarie. L’azione di ieri ha aperto anche un nuovo fronte con gli Stati Uniti, perché tra i catturati c’è il cittadino americano John Clancey. E un avvocato nello studio legale Ho Tse Wai e Partners, che difende diversi esponenti dell’opposizione. Dal giugno del 2019, quando si era riaccesa la protesta, sono stati arrestati 10.300 hongkonghesi, 2.839 per sommossa, danneggiamenti, assembramenti non autorizzati. Dal luglio del 2020, in base alla legge di sicurezza nazionale che prevede i reati di «sovversione, tradimento, secessionismo e collusione con forze straniere», sono finite in cella altre 90 persone. Tra questi Agnes Chow, giovane compagna di lotta di Joshua Wong; e Jimmy Lai, editore del quotidiano anti-comunista Apple Daily. Gli agenti ieri sono tornati nella sede del giornale a cercare altri documenti, in un’azione intimidatoria nei confronti della redazione, e hanno nuovamente perquisito l’appartamento di Joshua Wong, per cercare prove che sostengano un’accusa di alto tradimento. Da Washington Antony Blinken, che sarà segretario di Stato di Joe Biden, ha condannato «questa aggressione contro chi si batte coraggiosamente per i diritti universali» e promesso che «l’amministrazione Biden-Harris sarà al fianco del popolo di Hong Kong». Ma a ottobre il consolato Usa nella City rifiutò l’asilo a quattro ragazzi in fuga dalla polizia. Da Bruxelles l’ufficio di Josep Borrell, Alto rappresentante della politica estera europea ha chiesto «la liberazione immediata degli arrestati». Ma l’Unione Europea ha appena firmato un grande accordo politico-economico sugli investimenti con la Cina. Hong Kong è sola davanti a Pechino.

 

Di Guido Santevecchi

Corriere della Sera

7 gennaio 2021