No all’accordo con la Cina, sì ai diritti umani in Tibet

I giorni 22 e 23 marzo l’Italia riceverà il Presidente cinese Xi Jinping. La visita, secondo la stampa, prevede la sigla di vari trattati tra cui l’adesione dell’Italia (unico tra i G7) al progetto della Nuova Via della Seta ( One Belt One Road). Vogliamo qui far presente come, dopo l’entusiasmo iniziale, numerosi siano i paesi che stanno rivedendo la loro adesione al progetto, preoccupatiper le conseguenze sulla sovranità nazionale a causa dell’impossibilità di ripianare i debiti e della sempre più evidente progettualità egemonica della Cina a livello globale. Nell’aprile 2018, 27 su 28 ambasciatori dell’UE in Cina hanno firmato una relazione che sollevava forti preoccupazioni riguardo a OBOR in quanto contrario all’agenda dell’UE per la liberalizzazione del commercio e motivo di alterazione degli equilibri di potere a favore delle società cinesi anziché essere perfezionato con l’adozione degli accordi internazionali sostenuti dalla UE.

La Cina continua indisturbata nella violazione dei diritti umani come risulta dai recenti e documentati report sulle repressioni in Xinjiang e sull’internamento di milioni di Uighuri in campi di concentramento. Intanto in Tibet la repressione e il controllo sempre più capillare sono giunti ormai al compimento del settantesimo anno. A questo proposito vorremmo ricordare che:

  • Nel 1950 la Cina ha invaso e occupato il Tibet, una nazione libera e indipendente.

  • La repressiva linea politica attuata da Pechino minaccia la sopravvivenza dell’identità tibetana.

  • Lo sviluppo economico in atto in Tibet arreca benefici quasi esclusivamente ai coloni cinesi e non ai tibetani.

  • A seguito dell’invasione e al termine della Rivoluzione Culturale, oltre il 90% del patrimonio culturale tibetano è andato distrutto. Prima di far saltare in aria con la dinamite gli edifici sacri tibetani, tutti gli oggetti preziosi vennero sottratti dalle Guardie Rosse e finirono a Pechino

  • Le auto immolazioni dei tibetani: a partire dal 2009, più di centosessanta tibetani – giovani, monaci, monache e laici – si sono cosparsi di benzina e si sono dati fuoco sacrificando la loro vita come estremo atto di protesta. Sappiamo che almeno centoventicinque di loro sono morti. Prima di cadere a terra, avvolti dalle fiamme, hanno gridato di volere il ritorno del Dalai Lama in Tibet e la libertà per il loro Paese.

  • La repressione di ogni pacifica manifestazione di protesta: dal gennaio 2012 i tibetani, privati di ogni libertà, compresa quella di praticare la propria religione, hanno dato vita a una serie di pacifiche proteste di massa. L’apparato di sicurezza cinese ha risposto con la forza, a colpi di bastone e aprendo il fuoco contro i dimostranti inermi. Non si contano gli arresti. Molti tibetani sono semplicemente “spariti”.

  • Le sessioni di “ri-educazione patriottica” all’interno dei monasteri: all’interno dei monasteri, monaci e monache sono sottoposti ad estenuanti programmi di “ri-educazione patriottica” durante i quali viene loro chiesto di abiurare il Dalai Lama e di giurare fedeltà al Partito comunista.

Per quanto sopra espresso mentre ci auguriamo che l’Italia possa ancora ponderare la scelta di offrire aperture di credito alla Repubblica Popolare Cinese e l’ingresso nel nostro paese del suo “Cavallo di Troia”, chiediamo alla RAI di mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione in Tibet dando voce anche al dissenso e alle proposte ragionevoli del Governo Tibetano in Esilio per una pacifica soluzione del problema.

Aderiscono a questa richiesta:

Comunità Tibetana in Italia, Associazione Donne Tibetane in Italia, Associazione Italia-Tibet, Istituto Lama TzongKapa, 100% Free Tibet, ADHI Associazione, Anno del Dalai Lama, AREF International Onlus, Casa del Tibet Votigno di Canossa, Il Buddhismo Tibetano, GiamsèJhien Pen, Istituto Samantabhadra, L’eredità del Tibet- The Heritage of Tibet, Tibet la Bottega, Tibet House Foundation Italy, TsoPema non Profit, Casa del Tibet Roma.