Pechino: “I tibetani non devono credere alle bugie del Dalai Lama”

soldati a Lhasa419 dicembre 2018. “I tibetani non devono credere alle bugie del Dalai Lama ma al contrario comprendere l’importanza del governo del Partito Comunista”. E’ quanto pubblicato lo scorso 13 dicembre sull’edizione online del Tibet Daily, organo ufficiale del governo di Pechino.

“Sia che parli di ‘Middle Way’ o di ‘un alto grado di autonomia’, il Dalai Lama cerca di sminuire la leadership del Partito, svilire il sistema socialista e le leggi sull’ordinamento delle minoranze all’interno delle regioni autonome”. Il Dalai Lama – prosegue l’articolo – ha cercato di servirsi di elementi ostili al Partito all’interno di organi di informazione occidentali per diffondere “calunnie e maldicenze” contro la Cina e promuovere l’indipendenza del Tibet ignorando le libertà e il rispetto accordati al popolo tibetano. “Alla luce delle bugie dette dal 14° Dalai Lama, la gente del Tibet dovrebbe essere consapevole che la sostituzione del sistema teistico e feudale del vecchio Tibet con il nuovo Tibet socialista è stata una necessità storica e una vittoria della verità e del popolo”.

Parole che sembrano voler dissuadere i tibetani da qualsiasi presa di posizione o manifestazione di protesta nell’avvicinarsi della data del 10 marzo 2019, sessantesimo anniversario dell’insurrezione di Lhasa e della fuga in esilio del leader religioso tibetano. Il governo di Pechino sembra inoltre voler prendere la distanza dalle denunce di numerosi gruppi e dello stesso Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani che a più riprese hanno denunciato il crescente deterioramento della situazione in cui versano i tibetani sia all’interno della cosiddetta Regione Autonoma sia nelle altre aree. In tutto il Tibet sono negate la libertà di parola, dello studio e dell’uso della lingua tibetana, di ogni forma di manifestazione di pacifico dissenso, di professare la religione,

Ricordiamo che a Ngaba, il giorno 8 dicembre, Drukho, un giovanissimo tibetano, ha cercato la morte con il fuoco: sopravvissuto alle ustioni, è ora ricoverato in ospedale. Il 10 dicembre, sempre a Ngaba, Sangay Gyatso, un monaco di soli diciassette anni appartenente al monastero di Kirty, ha percorso le vie centrali della città chiedendo a gran voce libertà per il Tibet. Brutalmente picchiato dalla polizia cinese sotto gli occhi dei passanti, testimoni del pestaggio ma impossibilitati a soccorrerlo, è stato poi tratto in arresto.

Fonti: Reuters – Phayul