Tashi Wangchuk condannato a cinque anni di carcere

Tashi Wangchuk

24 maggio 2018. Con l’accusa di “incitamento al separatismo” il tribunale della prefettura di Yushu ha condannato a cinque anni di carcere Tashi Wangchuk, strenuo difensore del diritto dei tibetani a studiare ed esprimersi nella loro lingua.


Tashi Wangchuk, trentatré anni, Tashi fu arrestato il 27 gennaio 2016, due mesi dopo la pubblicazione sul New York Times di un articolo e di un documentario in cui l’attivista tibetano denunciava le pressioni e lo stato di paura in cui versano i suoi connazionali ed esprimeva il timore dell’annientamento della cultura tibetana attuato dal governo cinese attraverso la progressiva riduzione e deterioramento della lingua scritta e parlata. Accusato di “incitamento al separatismo” nonostante avesse sempre dichiarato di non volere l’indipendenza del Tibet, Tashi comparve davanti al Tribunale del Popolo della Prefettura di Yushu, nella regione del Kham, la mattina del 4 gennaio 2018. Liang Xiaojun, il suo avvocato, fece sapere che il processo, durato circa quattro ore, si era concluso senza una sentenza, rinviata a data da stabilirsi.
Nel video (pubblicato nel nostro sito), intitolato “Il viaggio di un tibetano verso la giustizia” e proiettato in aula come prova d’accusa, Tashi Wangchuk parla dei viaggi da lui effettuati a Pechino nel tentativo di sollecitare le autorità di governo della prefettura di Yushu a non impedire l’apprendimento e l’uso della lingua tibetana nelle scuole. Nei nove minuti della durata del filmato, Tashi, parlando in lingua mandarina, ricorda che i 140 tibetani fino a quel momento immolatisi Tibet dal 2009 hanno agito anche in segno di protesta per la scomparsa della loro cultura. Dichiara inoltre di voler cercare una soluzione del problema attraverso la piena attuazione delle leggi sulle minoranze etniche previste dalla Costituzione della Repubblica Popolare Cinese auspicando l’introduzione nelle scuole di un autentico sistema di insegnamento bilingue che consenta ai bambini tibetani di parlare fluentemente la lingua madre. Afferma che l’assenza dell’adozione del bilinguismo sia nelle scuole sia negli uffici governativi viola la Costituzione cinese che garantisce l’autonomia culturale dei tibetani e di tutte le minoranze.
La sentenza di condanna pronunciata dal tribunale di Yushu il 22 maggio, a distanza di oltre quattro mesi dal processo, dichiara Tashi Wangchuk colpevole di “incitamento al separatismo”. Ne ha dato telefonicamente notizia Liang Xiaojun, il suo avvocato, precisando che il suo assistito intende ricorrere in appello. Poiché la durata della detenzione è calcolata a partire dal momento del suo arresto, Tashi sarà presumibilmente rilasciato all’inizio del 2021.
Immediate le prese di posizione di governi e gruppi internazionali a difesa dei diritti umani. Lobsang Sangay, presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana, ha definito la condanna “un travisamento della giustizia” poiché Tashi Wangchuk nel difendere il diritto dei tibetani ad esprimersi nella loro lingua si è appellato a quanto previsto dalla Costituzione cinese in materia dei diritti delle minoranze. “La sentenza – ha dichiarato Lobsang Sangay – prova che ai tibetani in Tibet sono negati i fondamentali diritti umani”. “E’ un giorno triste – ha concluso – ma continueremo a batterci per il suo rilascio”.
In un breve comunicato il Dipartimento di Stato americano ha chiesto alle autorità cinesi l’immediato rilascio di Tashi Wangchuk richiamando Pechino al rispetto della peculiare identità religiosa, culturale e linguistica dei tibetani. L’Ambasciata del Canada in Cina ha sollecitato il governo cinese al rispetto della sua Costituzione e degli impegni internazionali assunti in materia di diritti umani. A nome dell’Unione Europea, due portavoce della commissione Affari Esteri hanno invitato la Cina a rispettare il diritto di libera espressione di tutti i cittadini, comprese le minoranze etniche, come previsto dalla sua stessa Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. L’europarlamentare Pier Antonio Panzeri, presidente della sottocommissione per il Diritti dell’Uomo, ha espresso la propria preoccupazione per la pena inflitta a una persona che, agendo nel pieno esercizio dei propri diritti, non avrebbe dovuto essere condannata. Ricordiamo che il Parlamento Europeo, in una Risoluzione del 18 gennaio 2018, aveva espresso profondo disappunto per l’arresto di Tashi Wangchuk sottolineando la mancanza di ogni prova concreta e chiedendone l’immediata e incondizionata scarcerazione. Analoghe dichiarazioni sono state rilasciate da Human Rights Watch, Amnesty International e International Campaign for Tibet che dal 2016 non hanno mai cessato di chiedere la liberazione dell’attivista tibetano.

Fonti: TibetNet – Phayul – International Tibet Network