La presenza cinese nelle università occidentali

confucius24 novembre 2017. Di fronte al dilagare nel mondo accademico globale degli Istituti Confucio si moltiplicano gli interrogativi e le prese di posizione della comunità internazionale sul ruolo e sull’ingerenza del governo cinese nelle università occidentali.

Lungi dall’essere strumento di diffusione della cultura confuciana, gli Istituti Confucio sono un’emanazione di una branca del governo di Pechino chiamata Hanban, l’Ufficio nazionale per l’insegnamento del cinese come lingua straniera. Dietro questa denominazione apparentemente innocua si nasconde in realtà un potente strumento di propaganda politica con cui il Partito Comunista intende trasmettere un’immagine positiva della Cina attuale e, nel contempo, porre dei veti più o meno palesi nei confronti di iniziative culturali sgradite al regime anche se organizzate fuori dal territorio cinese.

Per fare un esempio, Pechino suggerisce agli Istituti Confucio di scoraggiare ogni presa di posizione critica del mondo occidentale nei confronti delle “tre T”: Tibet, Taiwan e Piazza Tienanmen, cioè su temi sensibili quali la repressione dei dissidenti interni e la violazione dei diritti umani, cui si aggiunge la persecuzione del movimento religioso Falun Gong. Nel 2009 la North Carolina State University è stata “persuasa” a cancellare una visita del Dalai Lama, che avrebbe potuto parlare dello sgradito tema dei diritti umani nel Tibet occupato dalla Cina: i dirigenti dell’ateneo furono costretti ad ammettere che il direttore dell’Istituto Confucio presente nel campus aveva fatto sapere che la presenza del Dalai Lama avrebbe compromesso le buone relazioni con la Cina. Per converso, l’Istituto Confucio presso l’Università di Sidney organizzò una conferenza sul tema “Il Dalai Lama e la sua influenza politica, religiosa e sociale in Tibet”: relatore Zhang Yun, un ricercatore del Centro Cinese di Studi Tibetani, noto per essere un portavoce del governo di Pechino.

La penetrazione nelle Università e nelle scuole di tutto il mondo occidentale è capillare: il 7 ottobre 2017 il Ministero dell’Istruzione di Pechino ha reso noto che gli Istituti Confucio nel mondo sono 516 (ai quali vanno aggiunte 1.076 classi Confucio all’interno di scuole secondarie e università) diffusi in 142 paesi e regioni. Sono presenti in tutta Europa, nelle due Americhe, in Australia oltre che in Russia e in alcuni stati africani tra i quali lo Zambia e lo Zimbabwe dove, attraverso il diffuso insegnamento del mandarino come seconda lingua, gli Istituti Confucio coltivano la simpatia per la Cina delle nuove generazioni. In Italia, gli Istituti Confucio sono presenti a Napoli, Roma, Bologna, Milano, Torino, Venezia, Macerata, Pisa, Padova.
In nome della difesa della libertà accademica, nel 2014 l’Associazione Americana dei Professori Universitari ha chiesto agli atenei statunitensi di chiudere gli Istituti Confucio o di ridefinire totalmente la loro posizione. Lo stesso anno, l’Università di Chicago ha chiuso l’Istituto al suo interno a seguito di una petizione, firmata da cento professori, in cui veniva contestata la liceità dell’organizzazione di corsi all’interno dell’ateneo da parte di un istituto straniero. Provvedimenti analoghi sono stati adottati dall’Università di Chicago e, in Canada, dall’Università della provincia di Manitoba e dalla McMaster University, nella provincia dell’Ontario. La crescente ingerenza del governo cinese nelle università occidentali e la necessità di una risposta internazionale e coordinata agli aggressivi espedienti di Pechino è stata recentemente espressa dalla direttrice del Dipartimento Affari Esteri e Commercio australiano. Duncan Lewis, capo dell’intelligence australiana, ha affermato davanti al Parlamento che l’interferenza cinese in Australia ha raggiunto livelli senza precedenti “che potrebbero danneggiare la sovranità della nazione, l’integrità del suo sistema politico, la sicurezza e l’economia nazionale”.

Forte è l’esigenza di una presa di posizione unitaria e coordinata in grado di arginare l’infiltrazione della propaganda cinese e salvaguardare la libertà e i valori fondanti delle università di tutto il mondo. Qualcosa si sta muovendo se, come sembra, rappresentanti degli Stati Uniti, del Regno Unito, del Canada, della Nuova Zelanda e dell’Australia – “Cinque Occhi” aperti contro le interferenze di Pechino – stanno mettendo a punto delle strategie comuni a fronte della gravità della situazione.