Le due visioni di Hong Kong

29 giugno 2017

Li divide anche il cielo, o meglio, la sua interpretazione. Perché era nero e diluviava su Hong Kong la notte del 30 giugno del 1997, quando Chris Patten prese dalle mani di un soldato dei Black Watch la Union Jack ammainata per l’ultima volta e riconsegnò a Pechino la colonia, dopo 156 anni. Gli inglesi andandosene si aggrapparono a un proverbio cinese: «Il cielo con quella pioggia pianse per il dolore verso un grande che andava via», l’Impero. Chen Zuoer, che ai tempi fu capo negoziatore del governo comunista con quello britannico, dà al Corriere una lettura molto diversa: «Fu un temporale straordinario, dalla mia finestra sembrava che calasse il sipario sul colonialismo. In cinese diciamo: “Il cielo ha un occhio, ha voluto pulire la vergogna nazionale con quel diluvio”».

La storia

Ricorda Lord Patten: «Da 28° e ultimo governatore della colonia fui al centro di un grande dramma, che non fu visto solo come una vicenda britannica, ma come la fine dell’avventura imperiale per tutti gli europei». Ma «furono anche i migliori anni della mia vita, mi sentii il sindaco di una metropoli asiatica, da Londra ricevetti fondi generosi che mi permisero investimenti in infrastrutture, sicurezza sociale, buona amministrazione finanziaria: quando la lasciammo, Hong Kong correva come una Rolls Royce». Il suo vecchio avversario di Pechino: «Quando ho visto salire sul pennone la nostra bandiera rossa a cinque stelle ho ricordato che generazioni e generazioni di cinesi si erano impegnate nella lotta per far tornare il territorio alla Madrepatria contro i colonialisti».

Vecchi insulti

Negli ultimi mesi il governatore Patten cercò di rafforzare i «diritti democratici» della popolazione di Hong Kong. I cinesi non la presero bene e lo bollarono come «peccatore per mille anni; prostituto; ballerino di tango». Risponde ora il Lord: «Avevo la pelle spessa dopo tanti anni di politica in Inghilterra, così non ne feci una questione personale, anche se era assurdo che usassero quel tipo di insulti da Rivoluzione Culturale». Il cinese Chen vent’anni dopo non ha cambiato idea: «Scusi la franchezza, ma non mi fece una buona impressione. Possiamo definirlo un disturbatore della riconsegna, un vero politico egoista ed egocentrico. Nella mente di Patten il pensiero più importante è Patten, poi viene il partito conservatore, poi l’Inghilterra: ma l’interesse di Hong Kong non c’era. Si era portato un paio di scrittori nella sua missione a Hong Kong e subito dopo il rientro a Londra ha pubblicato un’autobiografia che dimostra il suo desiderio di autocelebrarsi». Di quel volume, East and West, parla anche Lord Patten: «Anni dopo tornai a Pechino da Commissario europeo e un funzionario cinese mi chiese di autografare una copia: la guardai, vidi che era un’edizione pirata stampata a Taiwan e naturalmente fui molto felice di firmarla». Ieri l’ex governatore ha pubblicato a Londra da Penguin una nuova autobiografia: First Confession, che uscirà anche a Hong Kong.

Il futuro della City

Dice Chen Zuoer: «Un falso problema: Deng Xiaoping aveva detto che dopo il 2047 ci sarebbe stato ancora meno bisogno di cambiare il principio Un Paese Due Sistemi, perché il socialismo con caratteristiche cinesi vincerà anche dopo il 2047». Lord Patten è preoccupato: «Temo che Hong Kong sia presa nella morsa dell’assalto contro dissidenti e critiche lanciato da Xi Jinping. Ma chiaramente, il futuro della City non può essere l’indipendenza, chi parla d’indipendenza danneggia le richieste democratiche».

Psicologia e psichiatria

Il ricordo del negoziatore cinese è rimasto sferzante. «Quella notte di vent’anni fa gli inglesi durante la loro cerimonia d’addio erano tutti bagnati zuppi. Non possiamo certo chiamarla un’uscita di scena solenne, né il principe Carlo né Patten hanno fatto una bella figura, non si capiva se le loro facce fossero bagnate più di pioggia o di lacrime». Lord Patten ha naturalmente un senso dell’humour britannico: «Poco prima di lasciare Hong Kong, durante una visita a un ospedale psichiatrico, un paziente mi chiese con cortesia “perché un Paese che si vantava di essere la più antica democrazia del mondo aveva deciso di lasciare la nostra città a un Paese con un sistema di governo opposto, senza consultare la popolazione”. Strano, disse uno dei miei assistenti, che l’uomo con la domanda più assennata su Hong Kong sia ricoverato in un manicomio».

Di Guido Santevecchi

Corriere della Sera

29 giugno 2017