DISCORSO DI S.S. IL DALAI LAMA IN OCCASIONE DEL 48° ANNIVERSARIO DELL’INSURREZIONE NAZIONALE TIBETANA

Nella ricorrenza del 48° anniversario della pacifica insurrezione del popolo tibetano a Lhasa, nel 1959, offro le mie preghiere e rendo omaggio a tutti quei compatrioti che hanno sofferto e sacrificato le loro vite per la causa del popolo del Tibet. Esprimo inoltre la mia solidarietà a coloro che in questo momento subiscono la repressione e il carcere. All’interno della Repubblica Popolare Cinese, nel corso del 2006 abbiamo assistito al verificarsi di cambiamenti sia positivi sia negativi. Da una parte, si è rafforzata la  linea dura con una campagna diffamatoria nei confronti della mia persona e, cosa ben più inquietante, con un incremento, all’interno del Tibet, delle limitazioni della libertà politica e della repressione. Dall’altra, abbiamo constatato, nella stessa Cina, un certo miglioramento della libertà di espressione. In particolare, tra gli intellettuali cinesi vi è la crescente sensazione che il solo progresso materiale non basti e che sia invece necessario dare vita ad una società di più profondo significato, fondata sui valori dello spirito. Sta guadagnando terreno l’idea che l’attuale sistema sia inadeguato alla creazione di questo tipo di società e, di conseguenza, aumenta il credo nella religione in generale e, in modo particolare, l’interesse per il Buddismo tibetano e la nostra cultura. Molti cinesi, inoltre, desiderano che io mi rechi in pellegrinaggio in Cina e impartisca degli insegnamenti.
Il reiterato richiamo del presidente Hu Jintao ad una società armoniosa è del tutto lodevole. Per realizzare una società che risponda a questa caratteristica è fondamentale promuovere la fiducia tra la gente e ciò può avvenire in presenza di libertà di espressione, verità, giustizia ed uguaglianza. È perciò importante che, ad ogni livello, le autorità non solo tengano in considerazione questi principi ma diano loro anche concreta attuazione.
Per quanto riguarda i nostri rapporti con la Cina, a partire dal 1974, avendo ben chiaro che senza dubbio avremmo avuto un giorno l’opportunità di intrattenere un dialogo con Pechino, abbiamo avviato i preparativi necessari per ottenere un’autentica e unica autonomia per tutti i tibetani, così come sancito dalla costituzione cinese. Nel 1979, il leader massimo Deng Xiaoping affermò che, ad eccezione dell’indipendenza, ogni altra questione riguardante il Tibet avrebbe potuto essere risolta attraverso negoziati. Essendo questo anche il nostro pensiero, adottammo una linea politica di reciproco beneficio, quella della Via di Mezzo. Da allora, per vent’otto anni, ci siamo attenuti coerentemente e sinceramente a questa politica la cui formulazione fu il risultato di discussioni e analisi approfondite, mirate al conseguimento di obiettivi di ampia portata quali il soddisfacimento degli interessi immediati e a lungo termine dei tibetani e dei cinesi, la pacifica coesistenza in Asia e la protezione dell’ambiente. Questa politica è stata approvata e sostenuta, all’interno e fuori dal Tibet, da molti tibetani di pratiche vedute e anche da molti paesi.
La ragione principale per cui chiedo un’autentica autonomia etnico – regionale per tutti i tibetani sta nella possibilità di realizzare una genuina uguaglianza ed unità tra tibetani e cinesi, grazie all’eliminazione del forte sciovinismo Han e del nazionalismo locale. Ciò contribuirà alla stabilità del paese, in virtù del reciproco aiuto, della fiducia e dell’amicizia tra le due popolazioni, e alla preservazione della lingua e della ricca cultura tibetana basata sul giusto equilibrio tra sviluppo spirituale e materiale, a beneficio dell’intera umanità.
È vero che la costituzione cinese garantisce l’autonomia etnico – regionale alle proprie minoranze. Ma il problema sta nel fatto che la normativa non è completamente applicata e, di conseguenza, non adempie allo scopo dichiarato, quello di preservare e proteggere la peculiare identità, cultura e lingua delle minoranze nazionali. In sostanza, succede che molta gente appartenente alla popolazione di maggioranza è confluita nelle regioni abitate dalle minoranze. Di conseguenza le minoranze, anziché essere in grado di preservare la propria identità, cultura e linguaggio, nella vita di tutti i giorni sono costrette ad adeguarsi alla lingua e al modo di vivere della popolazione maggioritaria con il rischio che le loro lingue e le loro ricche tradizioni finiscono gradualmente per scomparire.
Non vi è nulla di sbagliato nello sviluppo delle infrastrutture, come ad esempio di una ferrovia. Tuttavia è motivo di grande preoccupazione il constatare che, da quando la ferrovia è diventata operativa, il Tibet ha conosciuto un ulteriore incremento del trasferimento della popolazione cinese, il deterioramento dell’ambiente, un cattivo uso e l’inquinamento delle sue acque e lo sfruttamento delle risorse naturali, tutti fattori che causano enormi danni al territorio e a tutti coloro che lo abitano.
Sebbene le varie minoranze abbiano fornito al partito comunista un certo numero di membri preparati e capaci, è triste constatare che pochissimi hanno ottenuto incarichi di leadership a livello nazionale. Alcuni sono stati perfino variamente etichettati e definiti “separatisti”.
Per apportare reali benefici sia alle popolazioni di maggioranza sia alle minoranze come pure al governo centrale e a quelli locali, è necessario che sia posta in essere una sostanziale autonomia. Poiché questa particolare autonomia si applica alle minoranze, la domanda di riunire sotto un’amministrazione unica tutte le popolazioni tibetane è schietta, giusta e trasparente. È chiaro a tutto il mondo che non abbiamo un’agenda nascosta ed è sacro dovere di tutti i tibetani portare avanti la nostra battaglia fino al soddisfacimento di questa ragionevole richiesta. Non importa
quanto tempo ci vorrà; il nostro coraggio e la nostra determinazione non cambieranno fino a quando le nostre aspirazioni saranno realizzate. La lotta dei tibetani non si limita al riconoscimento dello status di pochi individui, è la battaglia di un popolo. Abbiamo ormai trasformato l’amministrazione tibetana in esilio in un vero sistema democratico, con una serie di leader eletti in successione dal popolo e per il popolo. Abbiamo in questo modo dato vita ad un’istituzione politica e sociale profondamente radicata e vibrante, in grado di portare avanti la nostra battaglia di generazione in generazione. Alla fine, la decisione ultima spetterà, democraticamente, allo stesso popolo.
Da quando, nel 2002, sono ripresi i contatti diretti tra tibetani e cinesi, i miei rappresentanti si sono intrattenuti cinque volte in discussioni di ampia portata con i funzionari interessati della Repubblica Popolare Cinese. In queste discussioni, entrambe le parti hanno potuto esporre in chiari termini i reciproci sospetti,  dubbi e difficoltà. Queste tornate di colloqui hanno perciò contribuito a instaurare un canale di comunicazione tra le due parti. La delegazione tibetana è pronta a continuare il dialogo in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Il Kashag fornirà ogni dettaglio nella propria dichiarazione.
Saluto tutti i tibetani in Tibet – membri del partito comunista,  dirigenti,  funzionari,  professionisti ed altri – che sono rimasti fedeli allo spirito del Tibet adoperandosi a lavorare per il sincero interesse del popolo tibetano. Esprimo loro la mia profonda ammirazione per l’immenso coraggio dimostrato nell’adempimento di ogni possibile attività a servizio del popolo tibetano. Esprimo altresì la mia profonda ammirazione per i tibetani all’interno del Tibet che, contro ogni avversità, hanno proseguito nei loro sforzi per preservare l’identità, la cultura e la lingua tibetana e, con risoluto coraggio e determinazione, si sono adoperati per soddisfare le aspirazioni del popolo tibetano. Sono certo che continueranno a battersi per la causa comune con rinnovato impegno. Chiedo a tutti i tibetani dentro e fuori il Tibet di lavorare uniti per un avvenire certo, basato sull’uguaglianza e l’armonia delle diverse nazionalità.
Voglio cogliere questa opportunità per ringraziare di cuore il governo dell’India per la sua incrollabile e impareggiabile generosità e per il suo sostegno. Esprimo inoltre la mia gratitudine a tutti i governi e alle persone che, nella comunità internazionale, si interessano alla questione tibetana e la supportano.Con le mie preghiere per la pace e il benessere di tutti gli esseri senzienti.

Il Dalai Lama
10 marzo 2007